19 gennaio 2015

"I «fumetti» al convegno dei Cinque" (1954)

di Andrea Pachetti


Dopo aver analizzato il dibattito su Goldrake e i cartoni animati giapponesi, torniamo nuovamente agli anni Cinquanta per fornire un altro contributo allo studio delle polemiche sui fumetti, uno dei primi settori coinvolti nel conflitto generazionale tra adulti e ragazzi.

Il frammento qui presentato è estratto dal Radiocorriere TV ed è interessante poiché, essendo comparso sul più noto periodico di allora relativo ai mezzi di comunicazione di massa, mostra quanto il tema fosse sentito anche nel nostro Paese, oltre che negli Stati Uniti. Scritto da Filippo Raffaelli e presentato sotto forma di dibattito (ovvero "convegno") tra alcune personalità del tempo, il pezzo nacque a causa della lettera di un abbonato, che poneva la seguente questione:

«La stampa per ragazzi continua ad esser intessuta di violenze e assurdità. Le famiglie si rendono conto di ciò? Cosa si può fare per metterle in guardia contro gravissimi pericoli? In che modo formare una corrente di opinione pubblica che favorisca le buone iniziative?»[1]

Il Raffaelli si preoccupò di fornire un breve ed efficace excursus sulla storia del dibattito, passato in sostanza attraverso tre fasi distinte: 1) sulle pagine di quotidiani; 2) nelle sale di conferenza a cura «di preoccupate signore e padri di famiglia pieni di buone intenzioni»; 3) sui banchi di Camera e Senato «senza pervenire ad un apprezzabile conclusione».

Riguardo il punto 2, cioè le "sale di conferenza", ricordiamo soprattutto la «Mostra dei periodici per ragazzi», organizzata nel 1951 dal Fronte della Famiglia a Roma presso Palazzo Marignoli, i cui contenuti abbiamo analizzato attentamente in passato.

Il tema tornò in auge anche in Italia nel 1954, in seguito all'eco mediatica dovuta alla formazione dell'Authority americana per il Comics Code, il comitato di censura preventiva sui fumetti creato negli Stati Uniti dagli editori stessi, «ventisei editori violentemente criticati per il loro cattivo gusto e l'influenza nociva che la loro produzione aveva sulla gioventù».

Tra i cinque partecipanti al dibattito del Radiocorriere vi fu Maria Federici (1899-1984), deputata della Democrazia Cristiana, colei che si batté per l'approvazione del suo progetto di legge "anti-fumetti", il n. 995 presentato il 19 dicembre 1949 come «Vigilanza e controllo della stampa destinata all'infanzia e all'adolescenza», che venne approvato nel 1952 dalla Camera ma non passò mai all'analisi del Senato, poiché nel frattempo (1953) la I Legislatura si era conclusa.

Ritratta (come gli altri partecipanti) dal famoso caricaturista Umberto Onorato, la Federici espose con forza il suo pensiero:

«In tutta Italia le famiglie spendono circa 800 milioni al mese per far dimenticare ai figli la lingua italiana, per abituarli ad esprimersi con suoni gutturali indecifrabili e per far apprendere loro il sistema brevettato di uccidere la vecchia zia senza che nessuno se ne accorga. Se si dicesse a questi genitori di spendere lo stesso denaro per migliorare l'attrezzatura scolastica probabilmente troverebbero l'iniziativa troppo onerosa. Occorrerebbe mettere al bando la "fumettistica".»

Tornavano dunque due temi tipici: da una parte l'incitamento alla violenza, secondo il quale i fumetti suggerivano modalità e meccanismi per commettere i crimini più efferati; dall'altra l'imbarbarimento culturale portato dalla presunta povertà letteraria dei fumetti e, in particolare, dalle loro onomatopee. Il timore che questi nuovi costrutti, importati dalle lingue anglosassoni, portassero all'impoverimento della lingua italiana era allora piuttosto sentito.

Alla Federici si contrappose parzialmente il pensiero di Michele Cifarelli (1913-1998), avvocato e successivamente anch'egli deputato e senatore della Repubblica.

«Ciò che si è detto per i "fumetti" può valere anche per il cinema; lo stato d'animo più diffuso in tutte le classi sociali è che ormai i ragazzi possano leggere e vedere tutto (o quasi tutto). Io non penso però che la legge potrebbe farci qualcosa: ne verrebbero fuori provvedimenti faziosi di pochissima efficacia. Chi può influire molto è invece la scuola, strumento di grande prestigio con il quale lo Stato potrebbe esercitare un continuo e proficuo controllo. E dopo tutto è necessario contrapporre alla stampa bacata qualcosa che non solo sia ispirato a sani principi morali, ma sia espresso in modo attraente, così come si faceva una volta.»

Dunque non doveva essere la legge a occuparsi del settore con una censura preventiva, ma si trattava piuttosto, a parere del Cifarelli, di una questione prettamente educativa, legata al sistema scolastico.

Gli fece eco il giornalista Luigi Barzini junior (1908-1984), il quale affermò che anche lui non era «d'accordo con la censura: provocherebbe solo un contrabbando di "fumetti" ed una borsa nera di avventure di fantascienza.» Da notare la vicinanza tematica che il Barzini pose tra fumetti e fantascienza, un genere allora molto noto soprattutto grazie alla collana Urania, nata alla fine del 1952.

Aggiunse poi un ricordo del padre, continuando: «Quarant'anni fa non c'era scrittore, anche dei massimi, che non dedicasse pare della sua attività letteraria a pubblicazioni per ragazzi. Vi ricorderete di "Fiammiferino", il pupazzetto di legno con l'anima dell'antico samurai che meravigliava tutti per il suo alto senso del dovere. Fu mio padre a inventarlo».

Peraltro parte della vita avventurosa di Luigi Barzini senior (1874-1947), quella riguardante il raid automobilistico Pechino-Parigi, è stata descritta in anni recenti proprio in un fumetto: Gli occhi e il buio di Gigi Simeoni, pubblicato dalla Sergio Bonelli Editore.

Intervenne poi il professor Arturo Carlo Jemolo (1891-1981), giurista, a ricordare che «delitti di minorenni ne sono accaduti molto prima che apparissero questi giornali», negando dunque la tesi secondo la quale erano i fumetti a far compiere ai ragazzi attività criminali.

Egli fece notare la funzione primaria della famiglia per quanto riguarda l'educazione dei figli, rispetto ai compiti della scuola:

«Io sono dell'opinione che dove ci sono genitori educati, lì entri solo stampa buona che fatalmente rimane fuori delle case di adulti ineducati e amanti di letture scandalistiche. Per quanto riguarda la scuola temo che il suo conformismo non le consenta di esercitare quel controllo di cui ha parlato l'avvocato Cifarelli».

Fu dunque compito del critico teatrale Silvio D'Amico (1887-1955) concludere con le sue parole questo dibattito:

«Io credo da parte mia che accanto alle famiglie buone e quelle corrotte esistano moltissimi indifferenti. Le cifre offerte dall'on. Federici lo dimostrano. In questo campo penso che la scuola potrebbe far moltissimo: compito degli insegnanti è educare non solo i ragazzi ma, soprattutto, i genitori».

Una discussione interessante, certamente figlia del suo tempo, che coinvolgeva personalità del mondo della politica e della cultura ma che, stranamente, tenne fuori tutti coloro che operavano direttamente nel settore sia dal punto di vista commerciale che da quello creativo; coloro che, successivamente, diedero vita al comitato di Garanzia Morale (equivalente italiano del Comics Code) proprio per evitare ogni ulteriore polemica sul loro operato.

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[1] Questo e gli altri virgolettati sono dunque tratti da Filippo Raffaelli, I «fumetti» al convegno dei Cinque. Radiocorriere TV Anno XXIX n. 51 (19-25 dicembre 1955): 15

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